martedì 21 giugno 2016

Il Torino, il Club America e l'inaugurazione dell'Azteca

di Vincenzo Lacerenza

Sebbene nell'imponente stadio della Ciudad Universitaria si possano stipare oltre settantamila persone, una moltitudine di tifosi non può assitere all'esordio della Tricolorcon la Costarica nel Campeonato Panamericano, la prima, vera grande kermesse ospitata dalla repubblica messicana. E' tutto esaurito. A bocca asciutta, fuori dai cancelli, rimangono oltre quarantamila persone. I più scalmanati, restii a darsi per vinti, si abbarbicano sulle recizioni e sbirciano nel tentativo di cogliere qualche attimo storico, accontentandosi di un campo visivo molto ridotto. La polizia, schierata in assetto anti-sommossa, fa molta fatica per preservare un minimo di ordine pubblico. Alla fine della tumultuosa giornata si fa la conta dei feriti: per fortuna nessuno grave. Ma il bollettino sarebbe potuto essere drammatico, se il Departamento del Distrito Federal, per mezzo de la Oficina de Espactaculos Publicos, non avesse cercato di limitare i danni, ovviando al problema e chiamando in aiuto le cineprese di Telesistema Mexicano, la principale emittente del paese, che offre la diretta televisiva dell'evento a tutti i messicani sprovvisti di biglietto. E' un successo, quasi una rivelazione per il magnate Emilio Azcárraga Milmo, figlio del fondatore Vidaurreta, che mai aveva visto schizzare in alto i dati sull'audience così come fece quella volta. Don Emilio rimane stupito, e al contempo folgorato, dalle inesplorate potenzialità offerte dalla macchina calcistica.
Due anni più tardi, convinto della buona rendita dell'affare, decide di lanciarsi nell'avventura calcistica e, senza tentennamenti, acquista il Club America, non a caso una delle squadre più blasonate e popolari del paese. Il suo intento è chiaro: attraverso faraonici investimenti  vestirà di azulcrema fior fior di campioni, assemblando una squadra di tutto rispetto e ingrassando, indirettamente, i ricavi della propria azienda televisiva. Ma presto Azcárraga si accorge che questo non basta a saziare l'eco smisurato di cui è dotato. Nel 1961 strappa allo Zacatepec il presidente Guillermo Cañedo de la Bárcena, l'arguto condottiero dei due storici titoli conquistati dai Caneros nel '55 e nel '58. Cañedoè un uomo saggio  - nel 1962 in concerto con il costaricense Ramon Coll Jaumetpartorità la CONCACAF - lungimirante, e possiede un discreto fiuto per gli affari. E poi è ambizioso. Da sempre coltiva un sogno, quello di vedere il Messico ospitare un'edizione della Coppa Rimet, ma sa che, per realizzarlo, prima il proprio Paese dovrà dotarsi di un impianto adeguato per una manifestazione di portata planetaria. In una delle tante chiacchierate informali intercorse tra i due, Cañedo rende partecipe della cosa Don Emilio, che non può che essere entusiasta. Sebbene sia molto facoltoso, un esborso astronomico del genere non rientra nelle disponibilità di Azcárraga. Che, combattivo, assembla un consorzio, denominato il Fútbol del Distrito Federal, trovando due sponde utili in Julio Orvañanos e Fernando González, rispettivamente proprietari di Necaxa e Atlante, altri due sodalizi capitolini.
Pedro Ramírez Vázquez, dopo aver sbaragliato l'illustre concorrenza di professionisti come Felix Candela, disegnatore del Palazzo degli Sport ed Enrique de la Mora, progettista della struttura dove vengono ospitati i locali della Borsa, è l'architetto a cui viene affidata la progettazione dell'opera, che immaginerà assieme a Rafael Mijares AlcérrecaCome zona designata ad ospitare il nuovo stadio, dopo un'attenta disamina, viene scelto il quartiere di Santa Úrsula. Quando nell'Agosto del 1962 una serie interminabile di cariche esplosive detonano all'unisono, sbrindellando sessantre chilometri di superficie rocciosa e dando il là alla cerimonia della posa della prima pietra, ci sono anche il presidente messicano dell'epoca Adolfo Lopez Mateos e il numero uno inglese della FIFA Stanley Rous. Nei quattro anni che seguono, al completamento dell'opera lavora incessantemente e alacremente un'impononte equipe composta da ottocento operai, trentacinque ingegneri, diciassette tecnici e dieci architetti. 

Nel maggio del 1966 finalmente i cantieri si chiudono. Da un po 'di tempo, qualcuno ha deciso che il nome all'avveneristica e ipertrofica struttura che proietterà il Messico nel futuro, permettendogli di cogliere il frutto proibito del Mondiale, verrà deciso da una capillare consultazione popolare. Con l'aiuto dell'articolato sistema postale messicano, tutti i cittadini messicani vengono interpellati, chiamati a eleggere la propria denominazione preferita: al nuovo stadio verrà dato il nome che più colpirà la fantasia dei promotori dell'iniziativa. A vincere il concorso, qualora un nome fosse particolarmente gettonato, sarà la persona che lo ha indicato per primo, beffando sul tempo tutti gli altri concorrenti: in palio due abbonamenti per la tribuna validi per novantanove anni. Il  fortunato signorAntonio Vázquez Torres di Leon scrive "Azteca" nel suo bigliettino, ottiene il consenso unanime della giuria e porta a casa il premio secolare.
Alle dodici e venticinque del 29 Maggio 1966, con un leggero ritardo sulla tabella  di marcia, sotto gli occhi del presidente messicano Gustavo Díaz Ordaz Bolaños, del plenipotenziario della FIFA Stanley Rous, e di Ernesto Uruchurtu Peralta, governatore del Distretto Federale, stipati in tribuna autorità, l'arbitro, il sig. Fernando Buergo, con un fischio deciso da inizio alle ostilità. Di fronte al Club America, campione messicano in carica, ci sono gli italiani del Torino: i granata allenati dal Paron Rocco, terminato al decimo posto il campionato, non hanno esitato nell'accettare l'invito degli azulcremas, volando a Città del Messico per presenziare alla cerimonia di inaugurazione dello stadio Azteca. Debilitato dalle scorie del viaggio, lungo ed estenuante, e non ancora a proprio agio con il nuovo fuso orario, il Torino fatica a carburare, venendo presso letteralmente a pallate nella prima metà dell'incontro. Al decimo minuto, gli azulcremas sono già in vantaggio grazie ad una rapida e fulminante combinazione tra Vavà e Arlindo dos Santos. Il guizzante artilheiro bicampione del Mondo con il Brasile, venuto a svernare in Messico nel 1964, riceve dal "NegroDel Aguila e di prima intenzione serve il connazionale: Memín si fa strada in percussione tra una selva di maglie granata, prima di esplodere una staffilata arquata, incenerendo Lido Vieri, che abbozza un timido tuffo, e diventando così l'autore della prima, storica rete nella nuova arena. Las Millonetas, così come vengono sarcasticamente identificati i calciatori del Club America dopo l'avvento del paperone Azcárraga, non sollevano il piede dall'accelleratore, sfiorando a più riprese il raddoppio: prima un colpo di testa di Zague, pescato da Mendoza, sibila minaccioso alla sinistra del nuemro uno granata; poi è ancora una volta Arlindo a rendersi pericoloso, facendo tremare la traversa granata con uno dei suoi missili terrificanti.

Tuttavia, il 2-0 diviene realtà nella ripresa quando Josè Alves, altrimenti conosciuto comeZague senior, si trova al posto giusto nel momento giusto per spingere in rete la palla, carambolata sul palo dopo la tremenda bordata dalla distanza di Mendoza, facendo ululare di passione Ángel Fernández Rugama, lo storico cronista sportivo  che detiene il record del "goool" cantato più lungo della storia del fútbol messicano. Il Torino, però, non ci sta a recitare il ruolo dell'agnello sacrificale e, in un impeto d'orgoglio, rimette in piedi la partita. Il grande protagonista granata della giornata è Ulisse Gualtieri - attaccante di scorta tornato all'ombra dela Mole dopo le esperienze in provincia a Crotone e Modena - autore della doppietta che rovina la festa agli azulcremas. Quelle messe a segno da Gualtieri, peraltro scarsamente impiegato in campionato, sono due reti sensazionali. Prima si coordina in un batter di ciglio, e traduce in rete una fiondata con il contagiri di Ferrini, scavalcando Ataulfo, "El Rey Del Arco", con una morbida palombella volante, e venendo successivamente travolto dall'uscita a valanga del portiere messicano; poi completa l'opera, svettando nel cuore dell'area azulcrema, e correggendo imparabilmente un traversone dalla destra con una poderosa incornata.
Calerà così il sipario sulla prima dell'Azteca, con un 2-2 che soddisferà un po' tutti. AncheNereo Rocco che, negli spogliatoi, sanguigno come al solito, rilascerà alcune dichiarazioni alla stampa messicano, lasciando intendere il suo gradimento per alcuni elementi del conjunto americanista quali Zague e Arlindo dos Santos. Prima di fare rientro in Italia, i granata gareggeranno nuovamente nella neonata arena di Santa Ursula, che in futuro ospiterà due finali di Coppa del Mondo, oltre che "el partido del siglo" tra Germania e Italia, cogliendo questa volta una prestigiosa vittoria per 2-0 con il Necaxa.

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