venerdì 24 aprile 2015

Il campionato più bello del mondo: la Juve, il Toro, Meroni, Combin

Gigi Meroni
di Vincenzo Paliotto

 Quanto fascino può raccontare il derby di Torino, tra due squadre entrate di prepotenza e da diverse prospettive nella leggenda del calcio italiano e mondiale. Sarà difficile, ad ogni modo, dimenticare 90 minuti così. E lo sarà difficile allo stesso tempo per la squadra che vinse (il Toro), ma anche per quella che perse (la Juve). Il 22 ottobre del 1967 il Torino si impose al Comunale per 4-0 in un derby ai danni della Juventus, tra l’altro Campione d’Italia in carica e con Heriberto Herrera in panchina. Fu un trionfo autentico, ma tra le lacrime. Qualche giorno prima, infatti, era scomparso l’astro nascente del Torino, il 24enne Gigi Meroni, amato da tutti anche dagli juventini. Dopo la partita vinta in casa ai danni della Sampdoria, l’idolo granata fu investito in pieno centro a Torino e perse la vita in seguito ad un violento impatto con un’auto, guidata dal 19enne Attilio Romero, poi diventato anche Presidente del Toro nel 2000. Una morte provocata da un’assoluta ed incredibile fatalità. Meroni perse la vita così a Torino in quello che era stato un giorno di gloria.

 La tragedia scosse tutta la città di Torino, anche quella bianconera, in quanto il valore della rivalità calcistica si conteneva ancora in una grande civiltà e su nutriva un grande rispetto per l’avversario, soprattutto per uno come Meroni, fuoriclasse autentico e genuino, che amava il gioco del calcio ed amava idee proprie, forti e giovani, con il “torto” di essere fuori dalla regole ipocrite e convenzionali della società civile dell’epoca. La Juve voleva strapparlo proprio ai cugini del Torino con un contratto sontuoso, una cifra da capogiro per il suo acquisto che si aggirava intorno ai 750 milioni di lire, ma i tifosi granata scesero in piazza per lui e ne impedirono la cessione: “Gigi non si tocca!!”.  Oltretutto la maggior parte della classe operaia granata lavorava proprio negli stabilimenti della FIAT. E piuttosto che vedere sabotata la produzione delle proprie automobili Agnelli decise di lasciare Meroni lì dove era, in maglia granata. Anche perché i soldi che Agnelli voleva scucire per un giocatore mal si coniugavano con la cassa integrazione invece indetta per alcuni suoi operai. Il popolo granata lo amava ed aveva ragione di farlo. Più di 20.000 persone parteciparono ai suoi funerali, e il lutto scosse la città. Dal carcere delle Nuove di Torino alcuni detenuti raccolsero soldi per mandare fiori. La stampa sembrò per un attimo perdonare la bizzarria contestata in vita (i capelli lunghi, la barba incolta), ma la Chiesa cattolica si oppose al funerale e criticò aspramente don Francesco Ferraudo, cappellano del Torino calcio, per aver celebrato il funerale di un "peccatore pubblico" con riti religiosi. Meroni, infatti, conviveva in una mansarda di corso Re Umberto a Torino con la sua ragazza di origine polacca, Cristiana Uderstadt, che all'epoca era ancora ufficialmente la moglie (anche se in attesa di annullamento del matrimonio) di un noto regista cinematografico romano. . La sua biografia più bella fu scritta da Nando Dalla Chiesa con il titolo La farfalla granata. Una storyboard che ha ispirato anche una serie televisiva a lui dedicata dal palinsesto della Rai.

Il Toro giocò quel derby ferito nell’anima e nel morale. Una nuova sciagura dopo quella di Superga si era abbattuta sulla grande storia granata. La Juventus di quel giorno di ottobre pareva una vittima predestinata. L’argentino Nestor Combin (che alla vigilia aveva promesso una vittoria in onore di Meroni), infatti, al 3’ ed al 7’ aveva già bucato due volte l’estremo difensore bianconero Colombo e il punteggio fu poi rifinito dalla terza rete dello stesso Combin e dal quarto gol di Alberto Carelli, giovane granata che scese in campo con la maglia numero 7, proprio quella che era stata di Gigi Meroni.“Meroni Luigino fu triste il destino con te…” recitava una canzone. Un ottobre del ’67 particolarmente triste per le speranze dei giovani dell’epoca. Il 9 ottobre sulle alture boliviane era morto Ernesto Che Guevara, il 15 ottobre invece scomparse Gigi Meroni. In quei giorni di ottobre del ’67 finirono due giovani vite e cominciarono allo stesso tempo due eterne leggende.

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